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Perché è difficile smettere? Cosa porta il fumatore a perpetuare il gesto?

Perché è difficile smettere? Cosa porta il fumatore a perpetuare il gesto?

…rispondere a queste domande non è cosa semplice, perché il vizio del fumo nasce da un complesso insieme di fattori non solo chimici, ma soprattutto psicologici. Ogni fumatore ha un suo personalissimo profilo, vive la sua dipendenza in maniera differente e, non ultimo, ricerca il piacere e ne giustifica l’atto in maniera differente.

 

La dipendenza chimica

La chimica ci dice che i consumatori abituali sviluppano dipendenza e che la sigaretta ha effetti temporaneamente stimolanti. Nello specifico, specie per opera della nicotina assunta in piccole dosi, aumenta la frequenza cardiaca e la pressione del sangue. Fumando una sigaretta si agisce positivamente sugli eterorecettori nicotinici con conseguente effetto del rilascio di dopamina il cui mantenimento dei livelli rappresenta parte della dipendenza biochimica che influisce sulla voglia di fumare. Tale meccanismo genera una sensazione di perpetuato piacere paragonabile, anche se più moderato, all’assunzione di cocaina e provoca un aumento della produzione di beta-endorfine, avendo così un effetto, oltre che stimolante, anche rilassante. Molti alcaloidi del tabacco sono anche inibitori della monoamino ossidasi (un enzima necessario al corretto equilibrio fisico e dell’umore), comportando un aumento della concentrazione dei neurotrasmettitori al sistema nervoso centrale. Inoltre, dopo pochi minuti dall’assunzione, si registra anche l’aumento di secrezione di acido cloridrico da parte della mucosa gastrica, aumentando il desiderio di fumare dopo i pasti. La nicotina, come altre sostanze presenti nel tabacco, riesce facilmente ad attraversare la barriera ematoencefalica raggiungendo il cervello in circa 7 secondi, da cui deriva l’immediato senso di benessere nel momento in cui si accende la sigaretta.

 

Questi gli effetti stupefacenti legati al consumo di una sostanza psicotropa come il tabacco. Ma se di dipendenza si tratta, valutiamone anche la sindrome astinenziale: sensazione di ansia e di vuoto, perdita di concentrazione ed irrequietezza, mal di testa e difficoltà nel riposo, disturbi al sistema metabolico.

Per quanto? Il picco viene normalmente raggiunto a due/tre giorni dall’ultima sigaretta!

Questo il dato paradossale, perché in realtà dopo pochi giorni viene meno la dipendenza chimica dal tabagismo, quello che invece permane anche per anni è la dipendenza psicologica, molto più difficile da eradicare.

 

La psicologia del fumatore

Gli effetti psicoattivi che una sigaretta ha sul fisico la promuovono, nella mente del fumatore, quale elemento necessario per superare momenti di stress fisici ed emotivi, rappresentando altresì un condizionamento comportamentale capace di svincolare l’atto e la sensazione di benessere dall’effettiva esigenza fisica di mantenimento dei livelli delle sostanze assuefative nel corpo. Detto condizionamento è una patologia che poco o nulla ha a che vedere con gli originali effetti di sostanze esogene; si sviluppa autonomamente nell’individuo, si alimenta come un parassita degli scompensi psicologici del fumatore così come avviene per dipendenze profondamente differenti come il gioco d’azzardo. Fumare diventa una strategia per fronteggiare situazioni di difficile gestione attraverso la compensazione psicologica dello stress con il piacere chimico derivante dal fumo di una sigaretta. Nel tempo questo modus operandi diventa riflesso incondizionato per “allentare la tensione”, come il sistemarsi i capelli o mangiare le unghie; la gestualità si trasforma in rito (il pacchetto e l’accendino hanno il loro posto, si estrae la sigaretta dal pacchetto in un modo preciso, si poggia sul labbro sempre nello stesso modo, sempre nello stesso punto, i primi tiri sono diversi dagli ultimi ed ogni fumatore elabora il suo modo personale di fumare e di espirare, si spegne sempre nello stesso modo e sempre nello stesso punto del posacenere…), si rafforza eleggendosi autonomamente a parte integrante dell’immagine di se. Fumare una sigaretta diviene anche un veicolo per esprimere sensazioni, sentimenti e stimoli anche sessuali (basti pensare ai modi con i quali si trattiene fra le dita la propria sigaretta ed alle posizioni che assumono le mani, al modo in cui si spegne o si getta il mozzicone indicando rabbia o relax, o ancora i significati impliciti nell’espirare il fumo involontariamente verso l’alto o verso il basso indicando positività o negatività).

La dipendenza tabagica è particolare perché non può essere curata come di sovente avviene con la medicina tradizionale caratterizzata dal connubio sintomo-medicina; essa amplifica le sensazioni, sopperisce agli scompensi della vita quotidiana, sottolinea il carattere, esprime stati d’animo ed identifica i momenti del fumatore stesso, nella sua unicità psico-comportamentale.

 

 

La medicina tradizionale e la sigaretta elettronica

Ogni fumatore che esprime la volontà di smettere lo fa secondo i criteri della ragione perché razionalmente consapevole dei danni derivanti dal fumo. Il problema è che la sua dipendenza nulla ha a che vedere con la ragione in quanto il tabagismo si è insediato nei risvolti emozionali di ogni ricordo, ogni momento, ogni pensiero, quasi come fosse un leale compagno di viaggio. Rinunciare alla sigaretta non significa solo rinunciare al prodotto, bensì significa rinunciare a parte di sé, dei propri piaceri, dei propri momenti. L’immediato senso di appagamento che il fumatore deriva dal gesto fa sì che lo stesso venga ripetuto d’impulso, rimuovendo il pensiero lontano della nocività in ragione dell’immediata soddisfazione di una pulsione, secondo quello che Freud definì “Principio di Piacere”.

La sigaretta elettronica riesce a riprodurre fedelmente gli aspetti psicologici e gestuali del fumo tradizionale eliminando le più di 4000 sostanze dannose contenute nei tabacchi lavorati. Un fumatore interessato all’acquisto di una sigaretta elettronica ha in realtà già maturato, forse tacitamente, la voglia di combattere la sua dipendenza e cerca nello strumento la forza o il veicolo per farlo. Nel momento in cui riesce a sostituire il tabacco con il suo succedaneo ha effettivamente operato quella frattura necessaria che gli permetterà in seguito di eliminare definitivamente il vizio. Il fumatore che più banalmente sostituisce il tabacco con la sigaretta elettronica senza smettere di fumare non ha ancora concluso il suo personale percorso motivazionale di distacco, ed in tal senso la sigaretta elettronica rappresenta comunque una scelta più salutare ed in grado di contenere i rischi di patologie legate all’uso del tabacco. La sigaretta elettronica è quindi un forte alleato nella lotta contro il tabagismo e, nella sua capacità di entrare nella psicologia del fumatore, trova il suo vantaggio a dispetto dei tradizionali programmi di disassuefazione che esitano spesso in un fallimento.

Chi dovrebbe venderla?

Quindi sarebbe corretto equiparare la sigaretta elettronica ad un farmaco? Niente affatto…la sigaretta elettronica non è un farmaco così come non lo sono le sigarette tradizionali e distribuirla nelle farmacie sarebbe un grossolano errore! Un fumatore non si ritiene un malato né tantomeno un tossico; ne consegue che non andrebbe ad effettuare il suo acquisto presso una farmacia e lo conferma il fatto che le farmacie hanno in vendita le sigarette elettroniche da anni senza alcun successo. Vendere le e-cig in farmacia significa implicitamente disincentivarne l’uso mentre renderle facilmente disponibili significa combattere in maniera efficace il tabagismo.

…venderle in tabaccheria? Assolutamente…venderle in tabaccheria significa assoggettare il prodotto ad un naturale conflitto di interesse che troverebbe nel tabacco lavorato la scelta più profittevole in fase di vendita, con un costo sociale in termini di salute enorme!

Unica via percorribile è la distribuzione del prodotto presso punti vendita specializzati, in grado di seguire in maniera efficace l’utente nel suo percorso di lotta al tabagismo.

Pubblicato il 11/07/2018 Curiosità e benessere 1533

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